Lettori fissi

mercoledì 9 marzo 2016

La mia malattia sono io.

Non avete idea di quanto io volessi scrivere in questi giorni, rimandavo sempre perché mi sembrava di non aver nulla da dire, di non trovare l'ispirazione giusta. Ma come mi succede sempre quando parlo o leggo un post di Sybil, avrei un milione di cose da dire. In quelle parole trovo scritta la mia vita, e se fino ad un secondo prima non sapevo che scrivere e come metterlo nero su bianco tutto si fa più chiaro immediatamente dopo, penso che sia magia.

Oggi sono stata al centro, c'è una novità: da oggi parlo anche con la psicologa. Devo essere sincera? Dal primo momento in cui sono entrata in quella stanza, ho sentito fortissimo e chiarissimo dentro di me che non sarebbe servito a nulla, questo perché io so di essere in una posizione superiore alla loro. È quello che penso da sempre e quello che solo oggi ho realizzato perfettamente, dopo aver letto le parole spiazzanti di Sybil. Oh, quelle parole... Parlano di me. Io so perfettamente che io sono la persona più informata di tutte sul mio disturbo. Ma non solo, sento che qualsiasi cosa esca dallo stereotipo si trasforma in incomprensione e mancata comunicazione. Non ho mai parlato forse dettagliatemente delle mie visite, ma spesso lo psichiatra fa fatica a capire alcuni miei passaggi, come fa lui, che ha studiato a non comprendere la mia mente contorta? Le mie contraddizioni? Questo perché solo io conosco perfettamente il mio disturbo. E con questo non voglio dire che non capisca, altrimenti non farebbe il suo lavoro. Anzi, è quello che forse mi ha aiutato più di tutti ma io non sono lo stereotipo, mi sento stupida quando dico certe cose che vanno fuori dal "manuale" è come se dicessi cose senza senso ai loro occhi. Non so se mi spiego, ma quando cerco di uscire dai preconcetti e dai luoghi comuni, non vengo capita, posso ripetere allo sfinimento che non sto male per il peso, che non mi fa stare tranquilla mantenere il peso perché ormai sono FISSATA con il mio disturbo e che la cosa che mi fa stare male è il pensiero di abbandonarlo,
In fin dei conti io non sono affatto guarita dopo un anno di percorso e sapete cosa? Mi sono accorta che non voglio nemmeno.

Cioè, io voglio assolutamente fare una vita dignitosa, considerare il cibo come il contorno della mia vita, eppure non vorrei mai rinunciarci. La mia è una tranquillità apparente, seguo quello che mi è stato prescritto perché so che lo devo fare, perché non posso fare altrimenti per vivere.
Ma da una parte il mio disturbo è parte integrante di me, è diventata una caratteristica qualsiasi, come avere gli occhi marroni. Ho sempre pensato di poter condurre una vita dignitosa sempre e comunque con il mio "bambino" accanto, come l'ha definito perfettamente Sybil.

Questo è il motivo per cui appena tornata a casa, ho detto a mia madre che sentivo che sarebbe stato tutto inutile. Lei giustamente mi dice "perché lo dici a me?" ed ha ragione. Ma io come tutto nella mia vita ho accettato passivamente di fare questi incontri con la psicologa, di tentare.
Perché quando sei disperato accetti di tutto, anche l'aiuto più superficiale del mondo. Perché si, purtroppo lo percepisco dannatammete superficiale, diciamocelo in questo ambito non esiste giustizia, non esiste a meno che tu non pesi trenta chili, questo è così da sempre e sarà così tristemente per sempre. Basti pensare ai dubbi che hanno su di me per il fatto che pur essendo perfettamente normopeso e scoppiando apparenentemente di salute io stia ancora male dentro. Perché in fondo si guarisce così giusto? Basta mangiare normale, come se il cibo fosse il problema. Che poi lo ammetto, in fondo lo è non penserei sempre a quello altrimenti, ma sappiamo che non è veramente li tutto.

Ma dicevo, ho accettato di vedere la psicologa. È stato un colloquio molto veloce, fuori programma, dettato solo dal fatto che mi hanno mandata li perché sto ancora male per il cibo.
Mi ha chiesto di dirle brevemente la mia storia, (intendeva la famiglia ecc...) ma io ero così STANCA. Sono nauseata dal raccontarla, perché so che è lì che gli psicologi indagano per comporre il puzzle che ti definisce. Io so di essere più intelligente, e questo lo dico senza presunzione assolutamente. Ma io so e l'ho sperimentato, che venire ridotta ad un'adoloscente problematica non mi aiuta, non so fino a che punto. Perché sarebbe tutto così riduttivo e banale.
Ci ho provato a descrivere il rapporto con la mia famiglia, sul serio. Ma non ci sono riuscita, so che quello è un contorno del mio problema, so che il mio problema è diventato un tutt'uno con me. Sono io la mia malattia. Non gli altri, non i miei genitori ma IO.
La mia malattia sta diventando una cosa a se dalle questioni della mia vita come possono essere il rapporto con i miei o con i miei amici, dalla mia vita sociale.
È una cosa a se da tutto questo eppure un tutt'uno con me.
O almeno è così che si sta evolvendo. Io riconosco che queste cose c'entrino ovviamente con la malattia, che l'abbiamo portata allo scoperto in qualche modo, ma so che risolvendolo io non guarirei.
Perché appunto la malattia è una cosa a se ormai e sono io allo stesso tempo.

Tornando alla psicologa mi ha detto che lei lavora con i sogni, che dicono tanto della psiche e che la prossima volta se mi ricordo le racconto di quello che ho sognato. Interessante la cosa dei sogni, chissà se me li ricorderò.
Poi quando mi ha chiesto della mia storia io ho goffamente tentato di dirle che ho un bel rapporto con mia madre ma che mi ha fatta sentire inadeguata nella mia vita, e che con mio padre non ho un rapporto praticamente. La mia voce lì mi stava tradendo, come mai mi veniva da piangere?
Eppure è qui il problema, io mi sentivo stupida dicendo quelle cose, perché ero perfettamente consapevole di come la psicologa e qualunque altro lo avrebbe interpretato. "Ecco qui la povera ragazza insicura, che ha un rapporto difficile coi suoi e che perciò si è ammalata."
È così per tutte in fondo, ma dannazione la ragione non è lì.
Gli psicologi scavano nella mente, no? Allora perché non sanno scavare più profondamente? Non si può ridurre tutto a questo. Spiegatemi perché un bel giorno mi sono fissata col controllo del cibo
Inizio a pensare che non ci sia una ragione, o meglio c'è, ma non si vede. Non si può conoscere.
E io con questo non voglio fare una colpa agli psicologi o ergermi a chissà chi, ma io oggi l'ho capito perfettamente.
Io non so se me la sento di dovermi conformare a quello che loro sanno studiando su dei manuali. Davvero il mio disturbo è tutto lì? Se lo fosse stato sarei già guarita. Penso di aver reso abbastanza quanto il disturbo sia parte di me.

Poi inizio a pensare che potrei sfruttare la mia posizione di superiorità, in quanto conoscitrice nel vero senso della parola del mio disturbo per guarire davvero. In fondo sono stanca, mi sento di ripetere sempre la stessa canzone, dopo un po' stona e non la sopporti più.
Potrei approfittarne per guarire e non dover sentire quella sottile insoddisfazione ogni volta che esco da quel centro, perché so che quello non è quello che avrei voluto dire. E non posso dirlo come dicevo prima, perché scatta l'incomunicabilità, ci ho provato più e più volte credetemi.
A volte sono tentata di firmare e chiudere la cartella dicendo che sono troppo intelligente per stare lì. Ma come potrei dirlo? Già dirlo qui mi fa sembrare presuntuosa, ma credetemi non è quello che intendo.

Ma poi penso anche alle persone che sono guarite li, come hanno fatto? A volte penso che non abbiano raggiunto un certo stadio del DCA, perché allo stadio in cui mi sento io adesso sinceramente non vedo chissà che prospettive di fronte a me, non vedo e non vedrò mai il cibo come un aspetto  secondario della mia vita, non mi stuferò mai di andare al supermercato cercando le cose integrali e senza questo e quello, non mi stuferò di pensare di poter trovare la felicità qui, nel mio fantastico e sporco mondo.

Comunque, io ci provo davvero a vedere cosa ne viene fuori da questo incontro con la psicologa, l'unico modo è mettermi al loro pari, accettare che loro possono darmi solo quel tipo di aiuto che per me non sarà mai abbastanza, e trarne tutto ciò che di positivo posso trarne.
È solo mettendomi al loro stesso livello che posso comunicare, le volte in cui ci riesco sono le uniche in cui non mi sento totalmente disperata e insoddisfatta, ma ci vuole tanto impegno farlo.
È frustrante doversi accontentare, ma nel frattempo lo faccio. Infondo, che altre speranze avrei di guarire? Ubriacarmi o drogarmi per non pensare al cibo?
È l'unico aiuto a mia disposizione e a tutte le ragazze che soffrono di dca, la soluzione più logica.

Scusate questo post, mi è venuto di getto. Forse dovrei scrivere più spesso, altrimenti rischio post come questi. Ma vi assicuro che almeno in questo momento è tutto sentito, magari tra un anno ci riderò su.